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Prof Andrea Giardina
La schiavitù nell'Antica Roma
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Le fonti attestano, soprattutto durante il regno e l'età
repubblicana, un approccio sacrale da parte di Roma verso i principali
eventi, dai più complessi inerenti alla vita dello stato,
ai più semplici legati agli accadimenti quotidiani della
giornata di un romano. Le chiedo se, nelle epoche citate, è
ravvisabile una sfera sacrale nell'approccio romano alla schiavitù
oppure se il tutto è riconducibile ad un ambito puramente
utilitaristico.
Non esisteva un vero e proprio «approccio sacrale»
alla schiavitù. Tuttavia, alcuni aspetti del rapporto tra
padrone e schiavo avevano delle connotazioni religiose. Abbiamo
visto che lo schiavo era un oggetto nelle mani del padrone. Ma un
padrone crudele, che bastonava, torturava o metteva a morte gli
schiavi senza motivo o per futili motivi, era oggetto di una forte
riprovazione morale da parte degli appartenenti al suo stesso ceto.
In altre parole, era diffusa la convinzione che anche nei confronti
degli schiavi bisognasse attenersi a una condotta ispirata alla
pietas. Questo concetto, che sarebbe riduttivo tradurre con «pietà»,
era intriso di morale e di religione. Lindividuo pio era gradito
non solo agli altri uomini (liberi o schiavi che fossero) ma anche
agli dei. Lo stoicismo (ricordiamo tutti le parole di Seneca) mostrò
una certa comprensione per la condizione degli schiavi (et homines
sunt
, «anchessi sono uomini») ma non arrivò
mai a proclamare la necessità morale di abolire la schiavitù.
Lo stesso fece il cristianesimo, che esortava i padroni a trattare
in modo mite gli schiavi, ma esortava al tempo stesso questi ultimi
ad accettare la propria condizione. Era diffusa la convinzione che
la schiavitù corrispondesse a un diritto giusto in quanto
diritto di natura.
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